edizionierranti shop coessenza
La Coessenza è una casa editrice nata dal basso. È un'associazione culturale per la formazione e la comunicazione autonome. Promuove un'editoria estranea a logiche di profitto e sfruttamento degli autori e delle autrici. Lotta contro il copy right. Si fonda sui principi di condivisione della conoscenza, beni comuni, reciproco ascolto e antirazzismo.
Laboratorio Coessenza a Cosenza Babylon 2.0

Appunti

Laboratorio Coessenza a Cosenza Babylon 2.0


Dal 22 al 24 giugno, nella tregiorni di Officine, spazio alla creatività cartacea
- Equilibri, squilibri e riequilibri sono momenti ciclici di uno stesso divenire che, spesso, muta una condizione statica portandola in una condizione instabile, molte volte non immediatamente comprensibile, per poi approdare verso una nuova stabilità: altra, differente, nuova, a volte migliore, a volte peggiore, altre volte solamente dissimile.
Viviamo tutti un periodo, nei primi anni della nostra vita, in cui la ricerca dell'equilibrio ha un carattere primario, vitale appunto. Questa ricerca istintuale è così forte da portarci a cambiare il nostro stato primigenio, in cui l’equilibrio è dato dal muoversi sui quattro arti, passando per uno stato di precarietà, instabilità, disequilibrio per giungere a un nuovo stato di equilibrio non più simile al precedente. Abbiamo, dunque, imparato a camminare. È da questo momento che la nostra visone del mondo comincerà ad essere diversa.
Nel corso della nostra vita, poi, molti saranno i momenti in cui gli equilibri creati si romperanno e nuovi se ne creeranno, o in cui dovremo essere capaci di trovarne di differenti, magari i più disparati e inconsueti.
Il rapporto fra equilibrio e squilibrio è allora molto sottile. Gli equilibri possono dunque rompersi, anzi ciò avviene continuamente, per poi crearsene di nuovi; è dunque un moto continuo dell'esistenza. La natura stessa riesce, col tempo, a riportare nuovi equilibri laddove l’uomo aveva generato squilibri. Il continuo susseguirsi però di questi continui cambiamenti se non regolamentato, controllato e indagato rischia di creare uno stato di corto circuito del divenire che può nel peggiore dei casi sfociare nell’implosione/esplosione del sistema, piccolo o grande che sia.
Derivante dal latino “aequilibrium”, composto di “aequus” uguale e di un derivato di “libra” bilancia, esso è dunque uno stato essenziale della nostra esistenza, sia nel campo empirico che in quello trascendentale.
In fisica, è lo stato di quiete di un corpo. In meccanica è lo stato di un corpo inizialmente in quiete, non sottoposto ad alcuna forza, ovvero a forze la cui risultante e il cui momento risultante siano nulli. Esso si dice stabile, se il corpo, spostato dalla posizione originaria, tende a ritornarvi; instabile, se se ne allontana ulteriormente; indifferente, se rimane nella nuova posizione. Tale concetto potremmo trascenderlo quindi in quello di armonia per quanto riguarda l’animo e dunque l’arte.
Ebbene nelle riflessioni di chi vive in profondità i problemi dell'esistenza umana esiste un ambito in cui la ricerca dell’equilibrio è una condizione naturale ed essenziale per giungere a uno stato di pienezza del proprio essere. Ciò può avvenire anche in forme e modi diversi attraverso il confronto con l’altro, con il diverso; attraverso la ricerca di giustizia o soluzioni a problemi personali e sociali; ma anche attraverso l’apprendimento di un arte per dar consistenza ai propri disagi o idee.
Così per un circense è l’arte del funambolismo; per uno scrittore è la parola che compie il senso del testo; per un fotografo è la ricerca nell'immagine; per l’architetto è la conveniente disposizione nello spazio delle parti di un corpo o di una struttura, atta a garantirne la migliore condizione di vita, per un musicista e la perfetta sequenza delle note, per il pittore il giusto rapporto di linee e colori.
In tal senso l'arte è la trasposizione nell'oggetto o nell'azione di un equilibrio o squilibrio dell'esistenza. Ma lo squilibrio è inteso soprattutto come sproporzione e in ugual modo come grave e allarmante turbamento delle facoltà psichiche. E dunque l’arte non è solo ricerca dell’equilibrio, della perfezione ma anche trasferimento di squilibri interiori alfine di trovare un nuovo, intimo, equilibrio. Così nascono nuove forme, nuovi concetti, nuove risultanti, spesso non immediatamente comprensibili, il surrealismo e il cubismo in pittura, la musica dodecafonica nell’arte cara ad Apollo. Esso è pertanto elemento fondamentale per il cambiamento e la ricerca di nuovi equilibri. Esso è denuncia, negazione, rivoluzione.
Gli squilibri secondo la medicina ayurvedica sono invece determinati da un cattivo uso dei sensi e per ottenere un riequilibrio occorre dunque sollecitare i sensi per un ritorno al loro stato iniziale. Ecco che occorre quindi rapportarsi a un modo di agire connesso all'ambiente, riequilibrando i ritmi psicofisici legati agli orari giornalieri, al fluire delle stagioni e più in generale al ritmo della natura.
E così se non compreso, governato o indirizzato verso un nuovo equilibrio esso può divenire devastante: può essere distruzione, catastrofe.
È all’arte così che affidiamo il ruolo di mettere nel giusto rapporto le parti e suggerire corrette interpretazioni per un progredire possibile dell’umanità.
Cosenza Babylon 2.0 vuol così essere un momento di riflessione su tali concetti proprio attraverso l’arte, in tutte le sue espressioni, lanciamo in tal senso un appello a tutti quanti vogliano partecipare, soprattutto fotografi e videografi che vogliano far pervenire il loro materiale presso le nostre officine, in cui nei giorni 22, 23, 24 giugno avremo modo di confrontarci e suggestionarci vicendevolmente.

MATERIALI LABORATORIO:

Pace e le sue sorelle
Quando il mondo iniziò ad esistere, quando il grande sole giallo riscaldava la terra e di notte la bianca luna tutto illuminava, nacquero in una tiepida mattina d’autunno Pace e le sue sorelle.
Adagiate su una foglia di ninfea che faceva loro da culla, le piccole creature del bene si guardavano intorno incuriosite da tanta bellezza: prati verdeggianti, animali liberi, un cielo azzurro e pulito, cascate limpide e cristalline.
Quando Felicità svolazzava nei prati, era solita fare a gara con le farfalle a chi raggiungeva prima la grande quercia.
E dove passava lei era felicità ovunque.
Armonia, poi, amava dondolarsi pigramente su un’altalena di liane, canticchiando dolci melodie ai suoi amici animali che, catturati da tanta soavità, rimanevano ore ed ore ad ascoltare quella meravigliosa voce.
E quando cantava lei era armonia ovunque.
Di notte Silenzio raggiungeva a piedi nudi la collina e, seduta sull’erba baciata dalla rugiada, rimirava quel paesaggio incantevole rischiarato da luna e stelle e ne assaporava la quiete.
E quando il sonno la rapiva, era silenzio ovunque.
Amore e Amicizia insegnavano agli abitanti di quel paradiso ad ascoltare il proprio cuore e ad essere sempre pronti ad aiutarsi a vicenda.
E quando parlavano loro, tutti si volevano bene ovunque.
Pace, dal canto suo, regnava sovrana ed era tanto felice nel vedere che era facile mantenere quell’equilibrio così ben costruito da Madre Natura.
E fino a che lei regnò vi fu pace su tutta la Terra.
Poi arrivò l’uomo. Era un essere umile e buono, rispettoso e gentile verso i suoi simili: ma non fu così a lungo.
L’uomo iniziò a coltivare dentro di sé il seme della gelosia e dell’invidia, voleva possedere sempre più cose per essere il padrone indiscusso su tutto.
Gelosia, Invidia e Potere, creature del male senza fissa dimora, giunsero nel regno di Pace e tutto distrussero.
E al loro passaggio vi fu desolazione ovunque.
Infine arrivò Guerra, e dopo lei Tristezza. Il mondo si tinse dei toni del nero, gli animali cercavano riparo nei boschi, l’uomo si scagliava contro i suoi fratelli, disseminando dolore ovunque.
Pace e le sue sorelle piansero per giorni e giorni, non trovando il modo per rimettere ordine sulla Terra.
In disparte, in un cantuccio, se ne stavano silenziose le due sorelline più piccole,
Uguaglianza e Fratellanza, timide e un po’ impaurite.
Pace fissò a lungo i loro occhi e, avvicinandosi, disse: “E’ giunto il tempo di far sentire la vostra voce.
Il mondo così sta morendo: l’uomo lo sta rovinando con le sue stesse mani e noi dobbiamo fermarlo.
A me sta a cuore il futuro dei bambini che così non avranno più case, patiranno la fame e non giocheranno più.
Il loro mestiere è quello di fare i bambini, non vivere tra lo scempio delle guerre dei grandi”.
Uguaglianza e Fratellanza partirono subito.
Anche Amore si unì alle due sorelle.
Dall’alto, lo scenario era tanto triste: guerra e dolore ovunque.
“Dove saranno i bambini?” si domandavano.
Poi li videro: chiusi nelle case con le loro mamme, senza sorriso, spaventati. “Ci pensiamo noi, piccoli.
Venite, seguiteci, fate presto e non abbiate paura!” disse a gran voce Amore.
E così, poco a poco, si formò una catena di bambini che via via diventava sempre più forte e sempre più lunga: un vero e proprio esercito di chiassosi bimbi.
Al loro passaggio, come per magia, la terra si ricopriva di profumati fiori: fiori ovunque.
Fiori che uscivano dai fucili, dalle macchine da guerra.
Fiori nelle stanze dei bottoni, fiori che cadevano dagli aerei in volo come una pioggia colorata.
Gli uomini così non poterono più fare la guerra e finalmente capirono e si vergognarono tanto per ciò che avevano fatto.
Riposero le armi e la cattiveria e ritornarono nelle loro case, dalle loro famiglie.
Pace tornò così a regnare sulla Terra.
“La guerra è stata vinta dai bambini!” dissero le tre sorelle al loro ritorno.
Pace le accolse con gioia e disse : “Durante la vostra assenza è venuta alla luce un’altra sorellina. Venite, vuole abbracciarvi”.
Mai i colori della Terra furono meravigliosi come in quel giorno, un giorno da ricordare.
Era nata la Speranza. (www.fiabe.it)

In quel bar non ci ho messo più piede. L’ultima volta, potevi sfiorarmi. Potevi sfiorarmi le labbra. Bastava che mi sporgessi. Ed invece, bla bla bla.
Se entrassi in quel bar ti troverei lì, al tavolo, con un bricco di caffè e le gambe che non riescono proprio a stare ferme, gli occhi vitrei che sembri morta, del colore del mare. Ed io,fra un clichè e un’insicurezza che proprio non riesco no, a dirti...
Non voglio sentire nemmeno il nome, di quel bar. Uscendo ti dissi: “ti rivedrò fra... un anno?” e tu ridesti, ridesti forte. Non ti rividi più. Sognai l’odore, l’odore forte di noi appena amati e vidi nel sogno il rossore della nostra pelle.
Dicevi - trotterellando le dita sull’orlo del bicchiere che non hai toccato - “ho cercato di ucciderti. Ma vivi sempre più forte, quì dentro” ed io che maledicevo il cielo. Non dovevo risponderti.
Squillò il telefono e non dicesti di noi. Arrivò il garzone e non udimmo ci stava cacciando fuori. Arrivò la notte e non vedemmo il buio.
Rimanemmo chiusi nel bar, diventammo invisibili. Il tuo caffè ancora fumava ed io parlavo, parlavo ancora. Avevi un pullover litigioso con il cangiare dell’iride, labbra ocra, eri... eri tu. Io non lo capivo o lo sapevo da sempre, io pensavo “ tutto a me? ”, miserabile puzzolente di lupanari.
Quelli dei tavoli attorno, stavano con i gomiti sul tavolo e le mani palmo aperto a sorreggere i visi intontiti con gli occhi sgranati e sognanti verso di noi. Nemmeno ce ne accorgemmo.
Ogni tanto ti aggiustavi il cappello – avevi un cappello? – e il tizio del bancone ridacchiava. La città tutta, entrava ed usciva dal bar - sorseggiando pochi minuti - e potevamo giurare di essere in un posto straniero. Quel bar, quella strada, non sono mai esistite. Ho passato la matita forte scarabocchiando quel disegno, svegliandomi, cominciando dall’insegna. Verde acqua che ne diceva peste e corna ai tuoi occhi a rubargli la scena.
Bastava mi sporgessi, non dovevi nemmeno muoverti. Ci saremmo trapassati. I nostri corpi sarebbero passati uno attraverso l’altro, con le palpebre serrate. Ed invece bla bla bla.
Chi frequenta quel posto non è più tra i miei amici. Evito accuratamente chiunque potrebbe parlarne, evito gli amici di chi ci va. Cambio città, scordo la lingua per non sentire nemmeno i discorsi. Mi chiudo in casa - dovessi vedere casomai una reclame - distruggo la radio, la tv, serro le finestre, la luce verde dell’insegna potrebbe essere visibile nelle notti insonni! Non uscirò finchè non cambierà nome, non sarà incendiato o non rimpiazzato da una panetteria. Finchè saremo lì dentro.
Ma non è vero! Non è vero niente! Ogni giorno passo dal bar e vedo noi, lì, al nostro tavolo a cazzeggiare mentre si pensa l’uno dell’altra “ e se ora ti bacio?”.
Siamo rimasti lì, immutevoli, mentre noi, abbiamo vissuto un’altra vita.
E.Nigro

A Matteo.
Una cucciolata meticcia, bastarda.

Leggiamo Riff Raff e il Tallone del Cavaliere. Li portiamo all'università, girano veloci di mano in mano. Storia è occupata. Il fax lo usiamo ancora ma su un 488 istalliamo corel draw e i manifesti vengono una botta. Mustafà gli hanno rubato la merce sul lungomare e gli hanno dato pure uno schiaffo. Al processo ci presentiamo in Tribunale in quattrocento con gli studenti delle scuole. In Cavana il civico 8 è occupato e a Venezia andiamo a fare visita ai sindaci del nordest riuniti in assise e gli occupiamo pure il municipio. In radio arrivano i senegalesi che parlano wolof e l'unica parola che esce dalla loro bocca che riesco a capire è Matteo. Il preside di Storia si convince e gli molla un'aula e lui trova gli insegnanti e parte il primo corso d'italiano. A Bagnoli c'è il gazebo con la cucina contro il razzismo e mangiamo carne di montone e tutto è piccante. E dieci neri litigano su chi deve fare la spesa e il couscous non si trova al supermercato e in mezzo a loro c'è un biondo che più bianco non si può che mette tutto a posto e parla la lingua loro senza averla mai studiata. I suonatori di bonghi di solito li cacciamo e a malo modo ma quella sera il bongo lo suona Claudio e ci mettiamo tutti in cerchio. Con Iuri proviamo tutto il menù del Rifugio, Ciolli e Max hanno montato il forno con Lele, il Bove c'ha la cresta e Matteo la sera scambia pizze con couscous. Ciuki di notte è caduto dal palco mentre dormiva ma la sua spalla è più dura del pavimento. Nello spazio cinema c'è L'odio e lo proiettiamo cento volte. In autostrada cominciamo a contare i chilometri e li moltiplichiamo per le cavalcate fatte tra Trieste e Padova e diciamo che abbiamo già fatto il giro del mondo e la notte dormiamo sui divani bianchi di Vilma che per noi è una specie di mamma che ci risolve le cazzate che facciamo. E siamo quelli che devono fare pìù strada e quando ci fermiamo in autogrill siamo sempre a Fratta e l'afgano è buono ma non ci siamo abituati. La cassiera ci chiede cosa vogliamo e Matteo sviene e Sandro gli mette il piede sotto la testa un attimo prima che la sbatta sul pavimento e non smettiamo più di ridere. E siamo nell'atrio della Questura con le porte chiuse perchè non hanno una stanza più grande dove tenerci tutti e non riescono a contarci perchè non stiamo mai fermi e giochiamo con loro a fargli dire 33 ma non leggono Pazienza e ci guardano come fossimo marziani. E dopo 6 ore siamo ancora lì e abbiamo fatto una palla con la carta dei volantini e giochiamo a pallone e i piantoni scuotono la testa. Roby è sdraiato sul tavolo che boccheggia e diciamo al questore che lui non può stare tutto quel tempo chiuso lì dentro. E con Matteo è già la seconda volta che mi ci ritrovo e quella prima al capo della digos gli uscivano fuori le vene dal collo e lui era a torso nudo che gli avevano sequestrato la maglietta che indossava. E siamo come tanti cuccioli sempre assieme e ci diamo manate per capire quando è che si fa male e tutti ci guardano straniti e non capiscono se stiamo facendo a botte o se giochiamo. Il corteo non è partito neanche da dieci minuti e già ci caricano e ci ritroviamo tra i piedi una bandoliera con la pistola attaccata e caschi e manganelli e gli rilanciamo tutto indietro e Sandro mentre cade a terra stavolta appoggia una mano sullo spigolo del marciapiede e salva un'altra testa che è di una persona con i capelli bianchi. La macchina dei carabinieri sembra uscita da uno sfasciacarrozze e il giorno dopo ci arrestano Andrea e i compagni più grandi ci dicono che dobbiamo trovare la maniera di fare le cose con più testa. E un mese dopo siamo in mille e ci sono tutti dalle altre città e c'è un cordone di compagni che si schiera davanti ai poliziotti ogni volta che cambiamo strada e liberiamo zone e il teatrino vive di nuovo e Franz fa la carne alla griglia e vuole mollare il lavoro. E il treno parte presto, Tania arriva con le teglie al forno, e la polizia sale sul treno e vuole i documenti di tutti e farci scendere ma su una porta c'è Gabriel e sull'altra Matteo e non riescono nemmeno ad avvicinarsi e chiamano in questura per chiedere come comportarsi e il vagone è già diventato un centro sociale. E facciamo assemblea con controllore, capotreno e passeggeri e dopo venti minuti sono tutti d'accordo con noi. Nel bagno c'è generatore e impianto e sui binari di Bologna spariamo a palla Lust for Life. A Napoli mangiamo alghe fritte e parliamo con compagni di tutta Italia che vogliono occupare i treni. E andiamo ad Amsterdam e poi a Parigi però a Ventimiglia c'è la legione straniera e fuori dalla galleria non si esce e torniamo indietro all'ambasciata francese. E piove parecchio e Valentina ha le convulsioni e Freddy prende un treno da solo e riporta indietro i kossovari a casa. E una sera cadiamo in un'imboscata e stavolta è la nostra macchina che sembra uscita da uno sfasciacarrozze e noi pure e la volta prima la polizia ha dovuto sparare in aria per dividerci. E Fulvio che è un senatore della repubblica ma ancor prima un gentiluomo comincia a venire ai nostri presidi e anche Roberto che è un consigliere comunale viene la mattina di fronte ai licei per liberarli. E in Europa i sindacalisti non riescono più a parlare nelle piazze che i lavoratori gli tirano di tutto e per rimanere sui palchi si proteggono con scudi di plexiglas trasparente. E ce li costruiamo pure noi gli scudi e ci scriviamo sopra Semira Vive con gli stessi caratteri delle volanti perchè l'hanno soffocata con un cuscino su un aereo per espellerla dal Belgio. E con gli scudi entriamo a spinta dentro in Portovecchio e il Cpt dopo un mese chiude. E c'è pure Andrea che siamo sempre stati convinti che era romano e invece scopriamo che è triestino pure lui e dopo un mese gli scudi li vediamo in televisione di fronte alla Turkish Airlines a Roma e c'è pure un ariete e i treni stavolta li prendiamo con i curdi e Matteo parla pure la lingua loro. E nel frattempo con Gabriel sono andati insieme in Messico e sono tornati con delle foto di spiagge da paura e due tatuaggi sulle braccia che se li uniscono diventano uno solo e l'altro giorno ho chiesto a Gabriel di poter toccare il suo. E a Valona andiamo in pochi e siamo incazzati che al ritorno non c'è venuto a prenderci nessuno in stazione e invece troviamo Matteo da solo con la barba lunga che ci stringe la mano e ci fa i complimenti e noi rispondiamo ma che cazzo dici e passiamo tutta la notte a parlare dell'Albania, del Messico e di Cavana. E leggiamo la lettera al direttore di Marco l'autonomo su DeriveeApprodi che per trovarlo è un casino e ha una grafica che sembra un catalogo di una mostra d'arte contemporanea. E noi fotocopiamo Ketchup in bianco e nero e lo vendiamo alle manifestazioni e ci pubblichiamo sopra i racconti di Marcos e ai cortei ci incolonniamo in fila indiana e pure i cinesi con noi. E Gianni e Danilo che hanno il doppio della nostra età ci chiedono come siamo riusciti a farli venire in piazza che sono una comunità chiusa. E poi Matteo parte e ritorna che lo hanno espulso perchè gli stranieri non possono partecipare alla vita sociale della nazione e quando arriviamo nello zocalo di Città del Messico abbiamo appuntamento sotto l'enorme bandiera e non lo riconosciamo perchè è in incognito e si è tinto i capelli di nero e c'ha le lenti a contatto colorate e non riusciamo a trattenere le risate. E andiamo a bere centrifughe di frutta e cominciamo a parlare in russo maccheronico e storpiamo canzoni e gli diciamo tu vuoi fare il messicano ma sei nato ad Opicina e lui ci dice che siamo i soliti minchioni e dallo zocalo mentre ci mettiamo in macchina per San Cristobal ci sono gli universitari che invece vanno a Cancun e c'hanno le tute bianche e gli scudi e vengono tutti a salutarlo e non serve a niente che si sia conciato come un russo. E in macchina ci dice che la cosa che lo ha fatto incazzare di più da quando sta in Messico è quella volta quando gli hanno gridato gringo. Ma vi rendete conto? Mi hanno chiamato gringo? A me? E via a raccontarci che chiamavano così gli americani dell'esercito per via delle divise verdi, che dicevano green go per dirgli di andare via, e mille altre storie sul Messico e sul continente americano. L'ultima volta che ci ho parlato abbiamo discusso dell'importanza dell'educazione alimentare e poi di olio di oliva extravergine e di parmigiano reggiano che in Messico sono merce rara. Di quanto siano buoni i panini imbottiti della gastronomia Sartori in via Cavana e anche dei panini con prosciutto cotto e baccalà mantecato che rubavamo dallo zaino di Denis sui treni. Non lo so perchè oggi sto raccontando queste cose. Di sicuro so che per me Matteo è tutto questo e molto altro ancora. Spartaco mi ha chiesto se stavo scrivendo qualcosa su di lui. Ho risposto che stavo provando a buttare giù poche righe su di noi quindi inevitabilmente su di lui. Penso che Matteo sia tutti noi e che in giro per il mondo ci siano molte situazioni collettive che possano dire la stessa cosa. Perchè Matteo ha sempre praticato e usato il noi in maniera inclusiva e mai escludente. Con Gabriel non riusciamo a guardarci senza scoppiare a piangere ed è stato lui a dirmi che avrei dovuto scrivere qualcosa. Mi ha detto scrivi qualcosa delle cose tue. Anche Lele me l'ha detto. E' tanto che non scrivo e non so neanche se ho qualcosa da dire che non sia quello che ho ascoltato in questi giorni dagli altri, mischiato a un po' di ricordi che non sono solo miei ma di tutti. Succedono cose strane in questi giorni a Trieste. Io per esempio, raccontando qualche aneddoto a chi mi chiedeva chi era Matteo, senza accorgermene ho ricominciato a usare la prima persona al plurale. Erano anni che non vedevo tutta la cucciolata insieme. La famiglia nostra sembra come sia tornata a unirsi e ci sono un sacco di cuccioli nuovi. Fanno mille domande e sono affamati di storie. E' una cucciolata meticcia, bastarda proprio come quella in cui siamo cresciuti con Matteo. Sarebbe stato impossibile attraversare questi giorni senza il calore di tutti loro. Gianni che conosce le vie dell'energia e che ha rischiato di perdere un figlio in Messico mi ha detto che l'unica cosa da fare era augurare buon viaggio a Matteo, lasciarlo andare. Che per un viaggiatore come lui era solo l'inizio di un altro stupendo viaggio e che l'avrei rincontrato a breve. Anche Lauretta che adesso ha due figlie ma che per me rimane sempre Lauretta, mi ha detto una cosa simile e mi ha raccomandato di ascoltare Somos Viento degli Amparanoia che lui l'ascoltava sempre. L'altra sera sul ponte di Ponziana mentre tutti erano in cerchio, mi è sembrato di vedere una fluorescenza arancione che veniva avanti e indietro, vicino all'orto. Da un pontile vicino all'Ausonia invece ho visto la luna piena più grande che abbia mai visto in vita mia. Mi è piaciuto pensare che quella luna fosse anche qualcos'altro e nel silenzio ho detto ciao, buon viaggio fratello mio. Mi sento più leggero da quella sera e anche l'eclissi di luna di ieri notte non mi è pesata particolarmente. Spartaco pianterà un albero, così sapremo dove andare quando passeremo dal Messico. Luca che dopo l'avventura di Copenaghen ha una luce nuova negli occhi ha aggiunto che dobbiamo piantare alberi in tutti i sensi. Dare vita a nuovi progetti e continuare quelli di Matteo. Farli crescere, prendercene cura. Che in città si sente un'assenza e che è questa la maniera migliore per ricordarlo. Penso che nella cucciolata la forza scorra vigorosa e potente. Oriana stamattina mi ha prestato la bici e mi ha ricordato quando ci dava la corrente per la radio con un cavo volante che partiva dal suo negozio. Matteo è stato anche questo, una specie di MacGyver di movimento che con un coltellino multiuso riusciva a fare mille cose diverse... e funzionavano!

Hola guapo, fai buon viaggio!

Torretta, Cavana, Pianeta Terra, 16 giugno 2011.
Un fratello tuo del Melting dei cso del nordest.


22.06.2011
Ci vuole peso
Specifico
Per piroettare sopra
Un momento tragico
Ci vuole un occhio
Sadico
Che apra ancora
Un quartiere melodico.
Cosa posso dire?
Che aspetto
Che torni da me
Con lo stipendio intero
Senza bevute intermedie
Per ricostruire
Il nostro piccolo
Welfare.
E. Orrico

23.05.11 h.15.17
- Cosenza, Santa Teresa, la ringhiera di fronte la chiesa –
Queste tre e un quarto, cosa sono?
Una ferita rimarginata,
che non duole né prude,
si sfalda in mezzo a densi
sbadigli.
Questo tempo.
È un peso che teme
Sollievo.
Una donna recita il rosario.
Di fronte a lei la facciata
Marziale delle Chiesa.
Alle spalle, una saracinesca
Abbassata con su scritto
The Cure.
Tutto ciò è molta più voce
Di quanto sperassi di udire.
C. Stepanicich


22.06.11 – Cosenza, Villa “Quasi”
Un piccolo scorcio di
Solitudine si apre nei
Rumori vivi degli alberi.
Il vento, qui, in mezzo alla città, parla, quasi fosse in cattività.
Un po’ penso a te.
Al profumo distante.
Al primo passo che oggi, ancora
Una volta, muovo verso la
Tua stagione, che impazza –
Più profonda delle
Imperfezioni - nel centro
Del sentiero scolpito
Che porto intorno al cuore.
C. Stepancich


Cosenza, 04.04.2011
La primavera ti sostituisce il sangue col caffè. Dormire diventa attività irregolare pur rimanendo agognata. La città – il mostro – comincia a rallentare i propri ritmi mentre continua a offrire scorci di degrado; inimmaginabili, stucchevoli ma, in fin dei conti, non stupefacenti. Un gruppo di 13 persone violenta ripetutamente un ragazzo di 16 anni. Lui dice che, fin quando non glielo han fatto notare, gli pareva una cosa normale. Stop.
E. De Franco


Umano, figlio della grande madre,
esplodi nelle tue contraddizioni
in un’antitesi di – forse –
inevitabili vitali processi.
E la trasformazione
ove tu, figlio, disconosci
il tuo ventre
ti rende umanoide,
esplosione di
meccanicismi
esasperati.
Eppur
nei tuoi circuiti indotti,
nelle linee
disumanamente perfette
che il mondo spettacolo
ti costringe a ricercare,
conservi un cuore
al centro del tuo petto
e lì, dirimpetto alla luna,
un seme attende,
sintesi vitale di
ancestrali percezioni,
speranza
di una civiltà
sublime e armoniosa
come natura.
“UMANOIDE”
E.S.Tropea


Lo sguardo intorno
nel noto trasformato,
un segno chiave
per capire il mutamento,
lì in fondo al cuore
un solo desiderio:
un mondo come natura.
“MUTAZIONE”
E.S.Tropea


Per quanto neri
volti e corpi siano
i colori avvolgono
sorrisi aperti.
E il nulla occidentale
diventa qui pienezza
e il mio essere
donna bianca
assume un’altra
prospettiva.
Che cos’è la povertà?
È ciò che assilla
la mia mente,
strattona usi
e consapevolezze.
Non ha risposta
ancor nel divenire
e attende il
tempo
dell’elaborazione.
“DOMANDE”
E.S.Tropea


E se per caso,
mia amata Coessenza,
quel sogno lì
venisse realizzato,
quel giorno uno,
di un ciclo nove,
sarà equilibrio
di uno
squilibrio necessario.
Ma se il cammino
in cerchio
si dischiude
ed il pensiero
prende forza
nel suo andare,
gli smarrimenti
della trasformazione
di riequilibrio
saranno fonte
per durare.
“LUNGA VITA ALLA COESSENZA”
E.S.Tropea
Laboratorio Coessenza a Cosenza Babylon 2.0 Laboratorio Coessenza a Cosenza Babylon 2.0