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La Coessenza è una casa editrice nata dal basso. È un'associazione culturale per la formazione e la comunicazione autonome. Promuove un'editoria estranea a logiche di profitto e sfruttamento degli autori e delle autrici. Lotta contro il copy right. Si fonda sui principi di condivisione della conoscenza, beni comuni, reciproco ascolto e antirazzismo.
Per Coessenza

Report laboratorio di lettura e ascolto 14 dicembre 2010


14.12.2010
- Cosenza, presso il D.A.M. polifunzionale Unical, ore 17:30 -
L’appuntamento mensile per la pratica della narrazione e dell’ascolto nato da Coessenza, questa volta si muove verso spazi nuovi.
Il parcheggio è quello del polifunzionale universitario; poche, timide macchine arrivano, sormontate dalla grande quercia che si ostina nel suo abbraccio caloroso, nonostante il freddo e la notte precoci, piombati quasi a sorpresa sul pomeriggio, provino a scoraggiare chiunque a suon di rasoiate gelide. Il tempo è da neve. Dopo un breve saluto lasciamo le auto e ci dirigiamo a passo svelto verso gli spazi chiusi e protetti del Dipartimento Autogestito Multimediale.
Una volta entrati ci spogliamo di sciarpe e scaldacollo e guanti: finalmente possiamo guardarci in faccia, riconoscerne il sorriso. All’appello rispondono Marisa, Maurizio, Franco, Claudia, ed io, Carlo.
Siamo in pochi, decidiamo di acclimatarci lentamente, dando un occhiata ai tanti giornali in giro, sedendoci a sorseggiare chi un caffè, chi una birra, facendo su e giù per il corridoio di quello che un tempo era il Filorosso a leggere i cartelloni delle iniziative passate.
Marisa confessa a me e a Claudia che oggi leggerà finalmente alcuni suoi scritti: ne è un po’ intimidita, come se le parole che sulla carta sono “sue”, potessero – una volta lette – imbizzarrirsi, o far’indifferenza tra i presenti, far ridere. Ci dice che è sempre così quando decide di leggere. Si trovano d’accordo, lei e Claudia; poi si parla di Poesia, che corre a suo agio sulle trame della Rete virtuale, nel troppo comune nonsenso dei social network, nei link inattesi di Youtube.
Le lascio a chiacchierare, controllo l’orologio sul cellulare. Un messaggio di Stefania mi avverte che lei non riuscirà ad esserci, per cui “occupatevi voi del report”. Sono le sei già da qualche minuto.
“Il freddo ne deve aver scoraggiato parecchi” dice qualcuno, guardandosi intorno. Siamo solo in cinque.
Aspettiamo, ma il solo ad arrivare, poco dopo, è Giuseppe.
Ci avviamo verso la grande sala delle proiezioni che è stata riservata al laboratorio. C’è tanto, troppo spazio da riempire, tanti posti a sedere e solo una stufetta elettrica.
Mentre tutti prendono posto io sistemo le file di sedie in modo da ricreare un cerchio che, seppur di forma quadrata, richiami l’intimità, la familiarità dei nostri discorsi.
Ci sarebbe dovuta essere una nutrita folla di studenti ad accoglierci, ma così non è. Tra stomaco e polmoni, avverto che sarà un viaggio ben strano questo di dicembre, ancora una volta a cavallo di quell’essenza improvvisa che è miscuglio di più Io.
Assaggiamo quasi tutti la birra dell’Orso offerta da Maurizio. Ed è così che iniziamo.
Marisa si fa coraggio e inizia a parlarci degli scritti che ha deciso di portare, di leggere, ce ne offre i contorni, mettendoli in un tempo e in un luogo ben precisi.
Prima che venga detto troppo, la invitiamo, delicatamente, a farli parlare con le sensazioni di cui sono composti.
A Mia Madre si dipana tra segni zodiacali e volti di animali, sogni in cui ci si scambia d’identità, silenzi madreperlati, e profumi nei quali c’è una mamma intenta a pregare, ma chi prega? L’emozione di una figlia senza età, che forse oggi farà una visita a quel volto buono. Ho l’impressione di sentire nella voce di chi legge un gran peso che va via e vorrebbe tirarsi appresso una lacrima.
Ma un’altra storia prende a fluire incurante del freddo, siamo in Via Aldini, ai piedi di Fiesole, e si riescono a sentire i cani abbaiare e le abitudini nuove e vecchie che vivono fianco a fianco, nei palazzi.
È giugno, nella voce di Marisa, e le memorie evocate tra cuccioli di cani e annunci di lavoro, numeri di telefono e di fianco e davanti e alle spalle storie, di amicizie finite, di soldi rubati, di botte date e ricevute, appaiono anche a chi Firenze non l’ha mai vista.
Il ghiaccio è lontano, rotto finalmente… così si parla del rapporto con la scrittura, che per Marisa non sembra essere stata la cosa essenziale della vita.
E ancora, si scivola nel leggero tocco di un episodio momentista, la scrittura e chi la scrive: una coppia che non si rispetta abbastanza, che forse si ama, ma non ha il coraggio di rompere. La Poesia è una tosse nervosa, una tumefazione di ghiandole… e tu scrivi scrivi mi dicono tutti. Anch’io a sentirli mi diverte, mi piace, mi commuove ma sono un poeta istantaneo: vado l’ammazzo e torno.
Ridiamo, ed è bello l’arrivo della sintonia anomala, del silenzio, del rumore che le cose ascoltate continuano a fare dentro, come tarli.
Presento a questo punto le poesie di Antonio Ammendola, il papà di Claudia, estratte dal libro di prossima pubblicazione Forse Icaro, volumetto che darà il via alla collana CoessenzaEchoes, dedicata alla poesia.
Claudia spiega perché ha sentito – insieme agli altri suoi familiari – il bisogno di dar vita ad un opera che raccolga tutti gli scritti del padre, così da restituire a pensieri impressi su fogli sparpagliati e quasi dimenticati, la dignità, la luminosità che meritano. Il libro è stato pensato come un regalo, un augurio, un incoraggiamento affinché la penna di Antonio continui a scrivere.
Leggo Forse Icaro, e un tratto, un viaggio, prende forma sulla strada e poi lungo la ferrovia, sino alla curva dopo non so e volerò via.
Gli antichi palazzi e i teatri delle gioie resistono al tempo, c’è chi arriva, riparte di nuovo e pare un po’ stanco. E chiede soltanto di esser tenuto per mano. Ancora una volta.
In Natale vi è un canto, una scintilla come di ricordi, di calore che parte dal fondo più fondo del fondo del cuore. Si muove risale e anche stavolta è magia che trasforma.
Gli ultimi ad essere letti sono Pensieri, in compagnia dei quali si può scendere giù, fino al centro delle cose che vediamo e ascoltiamo, per riuscire a lasciarci andare.
Nella breve pausa che separa una lettura dalla successiva arrivano anche Emilio e Maria, prendono posto vicino alla stufetta.
Ho con me, tra i fogli stretti nelle dita, anche alcune brevi istantanee scattate dal mio sguardo, affogate d’inchiostro. Così chiedo di poterle leggere. Ed è una mattina fredda d’inverno, aspetto qualcuno che sta arrivando a bordo di un treno, i monti mi raccontano una storia fatta d’immagini, e in quelle immagini c’è perfetta e desta, lucida, la voglia di andare verso una persona, e una sola. E lei arriva.
Il silenzio dura ancora qualche minuto, ripongo i miei fogli e prendo uno scritto di Luca, Abbiamo dato il meglio, si intitola. Porta con se un raggiungersi e un perdersi fusi assieme, il racconto di essersi incontrati, scandito da un tamburo gravido di incognite, ma così caldo… Una storia scritta insieme, che si cancella sotto i suoi passi.
Prende la parola Franco, che si interroga sullo sfogo disperato di Salvatore, avvenuto la domenica precedente all’Auser. “A chi dovrebbe chiedere aiuto, se non ai suoi compagni?”, e le sue richieste di lavoro, di casa, sono poi così distanti da ciò che servirebbe ad ognuno di noi? Ma noi non gridiamo, non perdiamo la pazienza, noi cosa facciamo realmente?
Ognuno di noi, in cuor suo, credo trattenga il fiato, e Marisa reagisce alla scomodità di tali domande con un duro appello rivolto alle coscienze di chi Salvatore lo conosce, sa dove vive, il modo in cui vive, le poesie che scrive – che Coessenza stessa ha voluto pubblicare – e non è in grado di dare una mano, mò ch’è natale, nemmeno facendo cernita di cose inutilizzate, per donarle, nemmeno inventandosi una colletta.
Questo è condivisione, allo stesso modo delle letture, dell’ascolto. Questo è riprendere in pugno le redini – che tutti dicono logore e disfatte – di una socialità davvero partecipata, non una comoda maschera da indossare per sentirsi “compagni”.
Lo dicevo, lo sentivo, che questo sarebbe stato uno strano incontro, affatto lineare, per niente leggero. Ma considerato come va negli ultimi tempi l’Italia… penso che, mentre noi leggiamo le nostre parole in quadrato, nel buio silenzioso di una sera calabrese, più su, a Roma, studenti e operai insieme ancora si scontrano per mantenere il Nostro diritto alla protesta, tra urla e fumo. Come potrebbe quindi, in mezzo a tutta questa tempesta, non arrivarci in cuore l’eco di un tale temporale?
Franco vuole leggerci pure lui – forse per la prima volta – una poesia, che è un po’ anche una riflessione sull’emigrazione, la globalizzazione delle mele, e dei vermetti che spesso le abitano. Basta che un coltello a tavola spacci in due un frutto, svelandone il contenuto a sorpresa (il vermetto rosa appunto), ed ecco un foglio e una penna: una storia.
Emilio è un po’ deluso dall’assenza di ragazzi del campus tra le nostre file, e si/ci chiede “cosa è/deciderà di essere Coessenza?”. Una casa editrice a tutti gli effetti, attenta ad una vera professionalità/giusto guadagno, o un semplice hobby tra amici? Ciò che facciamo nei laboratori è scavare, ognuno con i suoi modi, per cercare forse al Verità, quella che se condivisa è più accettabile, quella che difficilmente la si vede in tv, la stessa che mi ha spinto a stampare – e a leggere ora, sulla scia di quanto dice Emilio – un estratto dall’ultimo libro di Saviano che dice La verità, nonostante tutto, esiste. Ed essa esiste solo se letta, se non diviene oblio perché taciuta, la verità esiste solo se raccontata.
Prima di concludere, dico ad Emilio che a breve ci riuniremo anche con chi oggi è stato assente, perché è importante che una domanda venga ascoltata da tutti, e da tutti arrivi una o tante risposte.
Si è fatto tardi, le giacche imbottite iniziano ad esercitare il loro magnetismo sui presenti, che si avvicinano ad esse per indossarle, eppure ancora le parole non vogliono tacere: è questo, in appendice, un momento ugualmente prezioso, in cui Marisa pone una frase sul nostro udito, come un augurio, e un abbraccio.
“Abbiamo bisogno di una parola luminosa.” dice.
E questo è il nostro arrivederci.