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La Coessenza è una casa editrice nata dal basso. È un'associazione culturale per la formazione e la comunicazione autonome. Promuove un'editoria estranea a logiche di profitto e sfruttamento degli autori e delle autrici. Lotta contro il copy right. Si fonda sui principi di condivisione della conoscenza, beni comuni, reciproco ascolto e antirazzismo.
Appunti

Franco Dionesalvi - Quando inaugurammo Mondo Nuovo


Il Quotidiano domenica 11 aprile 2010

QUANDO INAUGURAMMO MONDO NUOVO…
Incontro con Franco Bifarella

“Coessenza”, che da qualche anno opera a Cosenza, è una casa editrice molto particolare. Non soltanto per i libri che pubblica, e per l’anomalo rapporto che ha col mercato (aderisce al circuito del copyleft, che si oppone al copyright, nel senso che il diritto a fare copie viene concesso a tutti, in omaggio al riconoscimento dei beni culturali come beni comuni). Ma soprattutto perché assume le sue decisioni in forma laboratoriale, invece che tecnico-burocratica.
Se un autore vuole proporre un suo libro per la pubblicazione, non deve rivolgersi al direttore editoriale, ma all’”assemblea”. Si presenta, spiega le ragioni del suo scritto, ne legge qualche passo. E poi si apre una discussione.
Così può capitare che ti ritrovi, nel laboratorio della Coessenza, a discutere di poesie, come succedeva una vita fa, negli anni Settanta del millennio scorso. E a interrogarti, a provare a capire; oltre che a porti il problema del “pubblico”, dei destinatari.
Ovviamente i protagonisti della Coessenza conoscono e sfruttano bene le tecnologie che rappresentano il contesto irrinunciabile del nostro tempo. E infatti grazie alla composizione fatta in casa possono andare a stampare un libro anche in poche decine di copie, abbattendo così i costi di produzione. E si tengono in contatto in rete, potendo così scambiarsi opinioni e valutazioni; nonché fissare la data delle riunioni. Con una eccezione. Uno dei partecipanti non usa internet; e infatti per lui fanno eccezione, gli telefonano. Inoltre si muove in autobus; così, quando le riunioni si svolgono in posti o in orari non serviti dai mezzi pubblici, lo vanno a prendere con la macchina.
Si chiama Franco Bifarella, ed ha almeno trent’anni in più rispetto agli altri partecipanti.

Franco è uno che ha sempre fatto politica. Ma attenzione: se lo cercate nei luoghi istituzionali della politica, al parlamento o negli assessorati regionali, in consiglio comunale o nelle segreterie dei partiti, il suo nome non lo trovate mai.
Per persone come Bifarella la parola “politica” vuol dire altro, rispetto alla degenerazione cui ormai siamo tutti rassegnati. Vuol dire passione civile. Lontano mille miglia da quel che si intende oggi, ossia gestione del potere e regolazione di affari.
“Noi abbiamo fatto sempre politica, ma fuori dalle istituzioni, di cui non avevamo bisogno”. È una delle prime cose che mi dice, quando vado a trovarlo nella sua casa del rione Torre Alta, dove vive circondato da tanti libri “che non trovi nelle librerie”, insieme a Luisa, la compagna di una vita, e a un cane con cui si accompagnano in lunghe passeggiate per i prati.
Così la narrazione parte dal ’68, l’anno mitico, lo spartiacque che, per una generazione più recente, è l’equivalente di quello che fu la guerra per i nostri padri.
Un ’68 vissuto alla periferia dell’impero. In una Cosenza che tuttavia partecipò a quell’appuntamento della storia con entusiasmo, generosità e ingenuità tipicamente giovanili.
“Parlare del ’68 a Cosenza significa parlare del circolo Mondo Nuovo. Una associazione politico-culturale che ha inciso, è stata un punto di riferimento. Ma non bisogna mitizzarla. Basti pensare a come casualmente è nata”
E Bifarella mi racconta che accadde quasi come nella canzone, “eravamo quattro amici al bar / che volevano cambiare il mondo”. Loro erano quattro amici, ma più che al bar stavano dal giornalaio, da Ninnuzzu, l’indimenticato edicolante che aveva il chiosco vicino Palazzo degli Uffici, proprio nel punto in cui a Cosenza si ritrovavano “i compagni”.
“Ci frequentavamo da diversi anni, stavamo tutte le sere a parlare accanitamente di politica. Poi tutto accadde un po’ per caso. C’era uno scantinato che un imprenditore aveva messo a disposizione del PCI, ma quelli lo tenevano chiuso, non ci facevano niente. Così venne fuori l’idea di chiederglielo, di darlo a noi sì che potessimo crearci un circolo culturale”.
Mondo Nuovo è stato una palestra per una generazione, un luogo di formazione. Ovviamente fazioso e settario; ma un posto in cui si studiava sul serio, lì c’era un biblioteca fornita, lì si faceva un cine-forum in cui si vedevano i film importanti di quei “formidabili” anni, lì i primi concerti. Un posto che aveva un leader incontrastato, Totonno Lombardi. Un intellettuale attento e severo, ma, nel ricordo di Bifarella, “stalinista”. Lombardi si comportava con Mondo Nuovo un po’ come Breton col movimento surrealista: decideva chi stava dentro e chi fuori. Bifarella ne parla senza smettere lo spirito polemico che li ha contrapposti in quegli anni, anche se la critica è addolcita dal tempo trascorso e dall’antica comunanza: “Quando ci concessero lo spazio, fissammo la prima riunione del circolo che nasceva. Arrivammo prima io e Ciccio De Rose, e scoprimmo che lo spazio era arredato con mobili antichi, c’era un tavolo e una poltrona di stile imperiale. Io dissi a Ciccio: vuoi scommettere che quando arriva Lombardi si siede subito alla poltrona? E infatti vinsi la scommessa. D’altra parte l’idea di chiedere quello spazio era stata sua. Ma insomma c’era qualcosa di sovietico in quella gestione. Ad esempio l’elezione del presidente, che si ripeteva tutti gli anni, era una formalità: io mi alzavo e me ne andavo. Tanto lo sapevo che tutti avrebbero votato per Lombardi”.
Questo fatto di non votare, peraltro, per Bifarella non era casuale. Perché lui apparteneva al Partito Comunista Internazionalista, che predicava l’astensionismo a tutte le elezioni. Quando me ne parla, si infervora come un ragazzino. Mi racconta che si riunivano tre volte l’anno, in Italia ma a volte anche in Francia o in Belgio. C’erano partigiani, gente scampata alle persecuzioni nazifasciste. E poi c’era lui, Amadeo Bordiga, l’uomo che aveva avuto il coraggio di criticare Stalin, e “la traduttrice per paura non osava tradurre quello che stava dicendo al suo cospetto”. Bordiga che dal 1945 partecipò alquanto dall'esterno alla organizzazione del Partito Comunista Internazionalista. Affermò di non voler essere presente ad alcun convegno o congresso per non influenzare con il suo carisma ancora integro lo schieramento dei militanti (disse di non aver problemi a "militare", come stava facendo, ma non voleva assolutamente "generalare"). Però “i suoi interventi duravano otto ore, quattro al mattino e quattro al pomeriggio, e noi non ci stancavamo di ascoltarlo”.
E Bifarella distribuiva “Il programma comunista”, il giornale del suo movimento; ma a Cosenza riusciva a venderne poche copie.
Ritornando a Mondo Nuovo, ricorda quando, in pieno ’68, ci fu l’assalto dei fascisti!
“Il nostro scantinato era un po’ una trappola. Ebbene una sera, mentre stavamo discutendo, sentimmo una pioggia di sassi contro il nostro portone. Lombardi si asserragliò nel suo studiolo. Allora io aprii la porta, ma subito arrivò la pioggia di sassi. Naturalmente non avevamo armi. Allora io impugnai una sedia, e facendomi scudo con quella avanzai. Altri compagni mi vennero dietro. Ci fu una scazzottata, niente di clamoroso. Ma l’episodio è rimasto leggendario perché io avevo lasciato gli occhiali a Luisa, per non romperli nella colluttazione. E lì nella confusione, visto che ci vedevo poco, tirai un pugno e colpii in pieno un mio compagno!”
Fuoco amico, insomma. Ma nella prosecuzione del racconto viene fuori la lettura che Bifarella dà degli sviluppi di quelle vicende.
“Decidemmo di vendicarci, di andare ad assaltare la sede del Msi. Quando arrivammo da quelle parti, io vidi Franco Ambrogio (allora giovane esponente del PCI) che dialogava con un poliziotto. Dissi ai compagni: lasciamo perdere, ci hanno venduto! Ma loro vollero continuare nell’azione. E poi la polizia ci caricò, ci furono feriti e diversi arresti”.
Il clima, peraltro, era destinato a degenerare: la rivoluzione gioiosa del ’68, attraverso il soprassalto creativo del ’77, sarebbe degenerato negli anni di piombo. Bifarella mi racconta di una manifestazione a cui partecipò, proprio fra ’68 e ’77, a Roma, che gli fece capire quello che stava accadendo, e comunque niente di buono per il movimento.
“Partiamo con due pullman da Cosenza. Io ero l’anziano, gli altri erano dei ragazzi, erano quelli di Autonomia Operaia. Già durante il viaggio vedo qualcosa di ben distante da come eravamo abituati a fare noi: si fermano negli autogrill e fanno gli espropri proletari, li chiamavano così. In pratica prendevano da mangiare senza pagare. Poi arrivati a Roma, ci fermiamo a piazza Esedra. Lì la polizia ci cambia l’itinerario. Allora alcuni compagni scappano in un cantiere, e si procurano pali e bastoni! In realtà il dispiegamento di polizia era pauroso. Ma durante il percorso succede di tutto: sfasciano le vetrine di un albergo, svaligiano un’armeria. Sul Lungotevere rompono i vetri di tutte le macchine, tranne delle cinquecento che erano considerate automobili proletarie! E poi vedo che qualcuno portava la pistola. Quando il corteo si ferma, alcuni si calano il passamontagna e con le pistole in pugno fronteggiano la polizia. Loro dicevano che proteggevano il corteo. Io dico che invece era il corteo a proteggere loro: si facevano schermo con le donne e coi bambini! In realtà erano pazzi e visionari, altro che rivoluzionari! E poi, quando tornammo al pullman, la polizia si mise a sparare contro di noi”.
Ma il clima cambia anche a Cosenza. Ben presto, stanchi dei “soprusi” del leader, Franco Bifarella, Enzo Costabile (poeta, scomparso qualche anno fa), Ernesto Fagiani (il primo preside di filosofia dell’Unical) e Ciccio De Rose (poeta dialettale) escono da Mondo Nuovo. Continueranno però a vedersi, per molti anni; a condurre ricerche su Gramsci e sulla questione meridionale, a confrontarsi sull’attualità politica.
Bifarella, che come lavoro faceva il geometra, da libero professionista, è sempre rimasto fedele al suo Partito Comunista Internazionalista: non ha più tessere, ma idealmente rimane uno di loro. Nel frattempo però ha partecipato a tutti i fermenti politico-culturali della sua città in cui abbia riscontrato un elemento di vitalità, una spinta sincera verso il cambiamento. Così, quando nel ’93 ”La Ciroma” presentò una lista alle elezioni comunali di Cosenza, lui, che era sempre stato fedele all’astensionismo e per questo aveva anche ricevuto una denuncia (per un certo periodo il voto in Italia è stato considerato obbligatorio), convinto che quel movimento dal basso presentava spunti di interesse, si candidò a consigliere comunale. Prese tre voti!
E poi le riunioni al laboratorio della Coessenza. “Perché oggi a Cosenza quelli che fanno le cose più interessanti sono loro. Ma negli ultimi anni ho partecipato anche a dei bei dibattiti fra credenti e non credenti, che si sono svolti nel Duomo. Tutto è cominciato dalla morte di Enzo Costabile, dai funerali che si tennero per onorarlo. Il fratello Antonio e Pino Stancari fecero partire quell’iniziativa. Poi in sostanza, a rappresentare i non credenti, c’ero solo io. Ma le discussioni che abbiamo tenuto sono state davvero interessanti. Io ho detto tutto quello che pensavo, come sempre senza nessuna reticenza. E loro mi ascoltavano”.
Forse non parlava per otto ore, come Bordiga. Ma con la medesima passione.
Franco Dionesalvi