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Fu così anche per te?

Recensioni

Fu così anche per te?


Mauro F. Minervino - sull'antologia di racconti "QUESTI ANNI" edita da Coessenza - Tutti noi ricordiamo quel tempo. Non fu diverso per me da quel che fu per gli altri. Eppure, continuiamo a raccontarci in ogni particolare gli eventi che abbiamo condiviso, e ripetendo, ascoltando, è come se dicessimo: “Fu così anche per te?...”
Memorie di una sopravvissuta, Doris Lessing

Cosenza anni ’80 trova in questa raccolta di racconti un coro di voci, quasi un romanzo di formazione collettivo. Un romanzo generazionale in cui ognuno porta una pietra, un’icona, una forma incerta, fatta a mano. Un mosaico di ricordi che trova senso nell’insieme. Come quando eravamo ancora tutti analogici, e il corpo, il fisico, il gesto, l’andare, contavano più di tutto e non c’era ancora niente di dislocato, di virtuale e di digitale nelle nostre vite. A parte certi brutti orologi di plastica, quelli che segnavano il tempo come i display delle stazioni, con i fosfori che pulsavano inutilmente i secondi. Niente telefonini allora, solo telefoni a gettone e cabine della Sip, e per chiamare gli amici a raccolta non c’erano i social, e per mettere assieme una partita a pallone dovevi far girare le gambe, e passare sotto casa a citofonare uno per uno. A quel tempo le ragazze erano un miraggio senza le solite facce da selfie, un continente inesplorato che profumava da lontano di shampo alla mela verde e di patchouly.
Di un romanzo di formazione in questo libro ci sono tutte le topiche, i tic, i luoghi comuni, i riti di passaggio, le ordalie, le ascese, le cadute, i miti piccoli e grandi. Con preferenza per quelli local, in omaggio alla condizione periferica, dimidiata, minore ma felicemente picaresca che è tipica dell’esperienza della vita in provincia nel profondo sud. C’è Cusenza soprattutto, che per tutti è patria indiscutibile, il grembo vitale di un amore sconfinato e spudorato. Cusenza e il suo confortante labirinto di strade provinciali non ancora cablate, i suoi negozi con le vecchie vetrine, i bar di quartiere, i locali fumosi, i cinema con le sedie di legno, i figuranti di una città che sembrava immersa in una durata chimerica, che sembrava eterna poco prima del diluvio di cemento e asfalto. C’è in queste pagine l’aria confidente e ruffiana che di una città senza tempo, che somiglia alla favola avvelenata dei suoi vecchi palazzi scrostati di nobiltà e sfregiati dall’incuria, al suo dialetto strascicato e fangoso, al suo scetticismo pigro e ostinato. C’è il rimpianto dell’adolescenza e il congedo variamente svisato da una gioventù destinata alla diaspora, il dissidio di una generazione che si trova a vivere improvvisamente a cavallo tra due mondi. E nessuno dei due è quello giusto. Ognuno c’ha messo del suo e a raccontato a modo suo. Anche quando c’è da rimettere in pari la dialettica (mai troppo ortodossa) tra la politica e il pallone, tra la droga e gli amori, tra i sogni e gli incubi, tra le passioni e gli abbagli, tra la solitudine e il branco. Tutti gli opposti che accoppiano e muovono il palinsesto minimo di ogni vita, il catalogo angusto di quelle prime volte che si aprono davanti a chi deve scegliere o è scelto dalla vita. Questo inventario animato e composito di figure e di figuranti, si trasforma, un racconto dopo l’altro, in un dramatis personae che simile alla scena di un piccolo teatro del ricordo mette in recita il giro eterno della commedia umana, in cui non mancano i caratteri eroici e donchisciotteschi, quelli meschini, quelli autodistruttivi e quelli distruttivi, i generosi e gli ipocriti, gli ironici, gli ignavi, i folli (la follia, la devianza, il disagio vitale e i bordi, anche in senso di spazio costruito, sono uno dei tratti e degli ambienti più ricorrenti di questi racconti). Tutti i racconti mi sono piaciuti (certi di più, ma non dico quali), non tanto per la qualità narrativa, requisito sempre opinabile e in fondo irrilevante in libri come questo, quanto piuttosto per il prepotente sentimento di verità e di partecipazione appassionata, di testimonianza diretta e viva, di sguardo fisso verso l’orizzonte comune della città e dei suoi luoghi condivisi (gli abitanti tipizzati, la piazza, lo stadio, i margini delle periferie spanciate dagli abusi, l’anomia sociale crescente a dispetto di tutte le retoriche di progresso) che tutti gli autori vi hanno riversato. Spesso la mappa, la geografia stessa della città, è la chiave, l’apriti sesamo dei sentimenti e delle esperienze di una generazione intera che si confronta con la vita, che la corteggia, la prende a pugni e si fa prendere a pugni, soccombe, fugge, combatte, resiste, o semplicemente da disdetta, e alla fine mette distanza tra se stessa e il mondo. Ma ognuno testimonia senza mai rinnegarsi all’appartenenza al luogo che conta più di tutto, a Cusenza.
L’epopea della città non a caso corrisponde alla sua trasformazione antropologica e spaziale da piccola e rassicurante capitale di provincia, in nuovo centro -“la grande Cosenza” contrabbandata dai politici- con ansie (e relative frustrazioni) di modernizzazione urbana e sociale, che da quegli anni precipita i tempi e presto raggiunge lo smarrimento e la metamorfosi del post-tutto di questi anni senza bellezza. Ognuno degli autori con la sua voce e la sua intonazione contribuisce a fornire un dettaglio di ciò che fu diverso per tutti e per tutti fu l’esperienza che conta più di tutto nella Cosenza di quegli anni. Il tempo, la scoperta del tempo, e il sentimento del tempo. Quando tutto sembrava davvero ancora possibile. Gli autori di questo coro di voci ci raccontano che a Cosenza negli anni ’80 c’èra la temperatura, il clima, la qualità dell’aria che si respira solo all’alba della vita. La vita sognata, e poi semplicemente la vita così com’era. Da una generazione all’altra si fa presto a realizzare che il tempo corre e non torna indietro, lasciando quel che c’è. Ma tutti quelli che hanno scritto questo libro hanno saputo dire di aver vissuto a Cosenza un tempo eccezionale in quegli anni memorabili a cavallo tra due mondi. Ora tocca ripeterla tra le pagine di un libro questa storia, rimettere un po’ d’ordine nel caos infranto delle vite, dopo che tutto è accaduto. Raccontarcela di nuovo, scambiarci di posto e di punto di vista, in fondo è il solo rimedio. E “ripetendo, ascoltando, è come se anche noi dicessimo tutti in coro ancora una volta”, come Doris Lessing: “fu così anche per te?...”
Mauro F. Minervino