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Blocco 52, racconto corale

Recensioni

Blocco 52, racconto corale


Domenico Bilotti intervista Nicola Fiorita, uno dei membri del collettivo riunito sotto la sigla “Lou Palanca”, fortunato autore di gruppo del libro “Blocco 52”, racconto a più voci su un fatto drammatico e dai tratti ancora oscuri. Si tratta di una delle migliori sorprese della più recente narrativa calabrese. Fiorita, presidente di Slow Food Calabria, peraltro è autore della prefazione del libro STORIE DA MANGIARE, di recente edito da Coessenza.

Il primo, vero, fatto di sangue a Catanzaro, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, morte di un comunista d’antan la cui prematura scomparsa meritava, a decenni di distanza, un sentito e giovevole approfondimento. Per quanto gli autori custodiscano un rapporto privilegiato con la loro città, al cultore di storia calabra come al lettore occasionale non sfugge notare che, sostituiti i nomi e le vicende e salvato il clima del racconto, potrebbe parlarsi di qualunque città calabrese, al crinale tra ruralità depredata e terziario speculativo. Ne parliamo con la “pattuglia”, ancora impegnata con presentazioni e dibattiti suscitati dal volume.

Innanzitutto, inizierei da una riflessione sul tema del vostro primo romanzo, “Blocco 52”. In esso, riportate a galla un episodio di vita cittadina sostanzialmente rimosso, prima di Voi, dal dibattito quotidiano. Cosa ha determinato questa rimozione? A Vostro avviso, è prevalso un consapevole oscuramento della vicenda di Silipo o un più banale (e più grave) calo di attenzione sugli episodi oscuri della vita di Catanzaro?

"Viviamo in una Paese e in una Regione che ha scarsissima cura della memoria storica, ed anche per questo è incline a ripetere all’infinito i medesimi errori. Eppure crediamo che nella vicenda Silipo a questa attitudine generale si sia aggiunta una volontà precisa di dimenticare al più presto un morto scomodo. Scomodo per una città che si pensava, e incredibilmente ancora si pensa, tranquilla e pacifica, scomodo per un partito che non lo voleva elevare a martire e modello, scomodo per la sua libertà e la sua indipendenza in un mondo che preferiva i personaggi allineati, prevedibili, obbedienti.
E poi, Silipo era espressione di un immaginario che declinava, leader di un comunismo bracciantile che cedeva il passo al mito della classe operaia e i cui nemici storici (latifondisti, blocco agrario, partiti conservatori) stringevano nuove spregiudicate alleanze (mafia, massoneria) destinate a portare potere, sangue e controllo dell’informazione".

Uno dei temi più interessanti del libro è costituito dalle solitarie premonizioni del protagonista. In parte vede sul campo, e in gran parte intuisce, sacchi edilizi, sconfitta e distruzione dell’economia rurale, ripiegamento borghese e conformistico della società, apertura di cicli di lotte che verranno chiusi a colpi di violenze e sentenze. Quanto questi occasionali soliloqui costituiscono un’aderenza al dato storico-politico e quanto una sorta di rimpianto, elaborato però solo da chi ha vissuto la città nei decenni successivi?

"I pensieri a voce alta di Silipo, intimi e spesso dolorosi per il protagonista, vivono in larga parte dalle intuizioni del sindacalista, dai suoi scritti, dalle testimonianze di chi lo ha conosciuto, ma anche dallo sguardo di alcuni dei Lou Palanca, che da catanzaresi hanno vissuto politicamente la città negli anni settanta-ottanta quando quegli eventi intravisti da Silipo prendevano tristemente forma e si imponevano nel silenzio generale".

Tra questi spunti apparentemente di “contorno”, che forse non smuovono la trama e che certo smuovono il lettore, si intuisce anche il tema della “rivoluzione sessuale”, che in tutto il Sud arriverà depotenziata, disturbata e comunque irreversibile. Che ruolo ha avuto questo risvolto nella mentalità dei personaggi che animano il libro?

"Il libro è partito per narrare la “vicenda Silipo”, ma mentre scrivevamo e rileggevamo insieme ad altri amici del collettivo ci siamo accorti che c’era qualcosa di più; fra le storie ed i personaggi inseriti molti provengono da quell’universo femminile che non ha avuto cittadinanza né in politica né in letteratura. Abbiamo cercato di dare voce anche a queste storie dimenticate mescolando, come al solito, il vero con il verosimile".

Adesso spostiamoci alla tecnica letteraria, di “scrittura collettiva”, che adottate nel testo. È stato difficile concepire una struttura unitaria? Riuscite a distinguere, ormai, da chi sono venute alcune pagine o alcune idee forti, che hanno resistito alla inevitabile mediazione tra scritture e proposte diverse?

"Non abbiamo adottato una struttura unitaria, ognuno ha seguito una linea narrativa libera, senza regole, schemi, tempi, spesso siamo intervenuti nelle parti altrui, proponendo correzioni di vario genere. Fra di noi, conoscendoci, col tempo è cresciuta anche l’amicizia, alcuni di noi si conoscevano solo via web, con altri c’erano stati percorsi condivisi precedenti; si è creata un’ottima chimica, anche se su molte cose la pensiamo diversamente. Il confronto costante e la disponibilità alla contaminazione sono alla base della scrittura collettiva".


Il collettivo “Lou Palanca” è costituito da persone che hanno occupazioni professionali e anche interessi di studio tendenzialmente diversi. Al di là di un forte approccio coesivo (direi: di tipo emozionale e civile), l’irriducibilità delle vostre attività quotidiane costituisce un limite o un ulteriore punto di forza del progetto?

"Proveniamo da città ed esperienze diverse e questa è una ricchezza, così come la nostra formazione culturale, la cosa che ci accomuna è il desiderio di raccontare attraverso la scrittura storie perdute, dimenticate, negate dalla macrostoria.
Ma non ci prendiamo troppo sul serio, ognuno di noi sa bene che scrivere dei libri non è un mestiere, non è un’arte, è una forma di resistenza. Raccontare, senza dimenticare i conflitti sociali che generano ingiustizie, significa assumere un punto di vista diverso, ecco perché le storie sono più importanti dell’autore.
Le fatiche quotidiane, il lavoro, la famiglia, il tempo che manca potrebbero sembrare, in apparenza, un ostacolo, ma sono invece fonte d’incoraggiamento a scrivere: scriviamo perché siamo calabresi, ma anche perché siamo lavoratori, padri, madri, amici".

Infine, concludiamo con un auspicio: che cosa ci aspetta dal futuro di Lou Palanca? In quali altri progetti lo (Vi) vedremo impegnato/i nel prossimo anno?

"Per noi è motivo di grande soddisfazione aver riportato la vicenda umana e politica di Luigi Silipo al centro dell’attenzione dei calabresi e di molti protagonisti della vera vita intellettuale del Paese. Dopo un anno dalla sua uscita, Blocco 52 è ancora vivo, viene letto e viene discusso e la cosa più bella sarebbe sapere che altri hanno deciso di seguire il nostro stesso percorso, perché è una Calabria ribelle e lucida che merita di essere raccontata, conosciuta e riproposta come modello.
Per parte nostra abbiamo incrociato in questo anno molte altre storie affascinanti e cercheremo il modo di restituire loro la vita e la dignità attraverso il nostro lavoro".