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Quando la 'ndrangheta c’entra poco o niente

Recensioni

Quando la 'ndrangheta c’entra poco o niente


tratto da www.globalproject.info - Sul libro di Silvio Messinetti e Claudio Dionesalvi edito dalla casa editrice nata dal basso, “Coessenza” - di Mattia Gallo - 14 / 1 / 2014
Pensare che il problema principale della Calabria sia il fenomeno criminale della Ndrangheta, vuol dire andare completamente fuori strada.
Tra chi ha espresso più di una volta questa considerazione, c’è Franco Piperno, ex leader di Potere Operaio, originario di Catanzaro, docente presso l’Università della Calabria. Lui, come tanti, afferma che la ndrangheta è una parte della società calabrese, innestata dentro di essa, che si è imposta attraverso la violenza propria delle borghesie che s’impongono inizialmente attraverso una “accumulazione primitiva”. E poi, l’esempio storico di Piperno, per fare capire come la ndrangheta è un tassello della nostra società, non slegato da altri: bisogna pensare ad esempio al rapporto tra Francis Drake e la corona inglese. In origine corsaro dei mari britannici nella seconda metà del 1500, quando divenne funzionale alle strategie della monarchia inglese, assunse un ruolo come parte strutturale del governo della Regina Elisabetta.
E’ appena uscito il libro “Al di là della Mala – quando la Ndrangheta c’entra poco o niente”, di Silvio Messinetti e Claudio Dionesalvi. A proposito di pirati, si legge nelle prime pagine: “La criminalità dunque è un male DELLA Calabria, un male PER la Calabria, ma non è IL male della Calabria. C’è di peggio, c’è qualcosa che nuoce a questa terra, al di là cioè al di sopra della stessa MALA. Ed è l’alleanza tra imprenditoria corsara e manovratori politici”.
Il libro, edito dalla casa editrice nata dal basso, “Coessenza”, raccoglie in una forma unitaria, solida, e miscela le inchieste scritte da Messinetti e Dionesalvi per il quotidiano comunista “il manifesto”, pubblicate in un arco di tempo che va dal 2009 al 2013. Militanti nelle lotte sociali, media-attivisti, mettono sotto la lente d’ingrandimento questioni ambientali e sociali legate al territorio centro – settentrionale dei luoghi della regione a cui appartengono.
Compaiono i grandi nomi di potenti multinazionali che gestiscono pezzi importanti di questa regione, e che l’hanno ferita con gli artigli delle lamiere arrugginite, facendola grondare di liquami chimici, annebbiandola con nubi tossiche. Emerge come la ndrangheta diventi un semplice parafulmine per attrarre l’attenzione generale, a seconda delle esigenze tattiche di fondazioni, sindacati, partiti. E la ndrangheta, a volte neanche compare tra i nomi a cui attribuire responsabilità pesanti. Tra le foto pubblicate, ce n’è una che riesce ad estrinsecare in maniera efficace i temi del libro.
Alcuni attivisti delle realtà calabresi di movimento partecipano attivamente alla giornata di mobilitazione nazionale dell’11 aprile 2012, chiamata dal movimento “No Tav” dal nome “la Valsusa in ogni città”. Nella foto si vedono gli attivisti calabresi che occupano la ferrovia della stazione di Paola, provincia del tirreno cosentino, esponendo un grande striscione “No Tav, No Ponte – le priorità solo altre”. Un mese prima, gli attivisti calabresi avevano occupato quegli stessi binari esibendo uno striscione che recitava: “Dalla Calabria alla Val Susa, siamo tutti No Tav, liberi tutti”. Il giorno dopo Eugenio Scalfari in un suo editoriale su Repubblica se la prendeva con i manifestanti calabresi contrari alla Tav: “I giovani dell'Università della Calabria ne avrebbero di problemi da affrontare. Invece si mobilitano contro l'Alta Velocità. Ma che senso ha?
Lo "sfasciume pendulo" calabrese segnalato da Giustino Fortunato 150 anni fa continua a far precipitare le montagne fangose nei torrenti e nel mare sottostante. Cristo si era fermato a Eboli, ma nel frattempo la 'Ndrangheta ha fatto man bassa su tutti i territori di quelle zone. Si teme che le organizzazioni mafiose si aggiudichino le commesse per la costruzione delle reti Tav. Questo sì, è un problema assai grave che va affrontato”. Scalfari si dimentica di essere un difensore in terra dell’austerity, che massacra i trasporti, la sanità, ogni condizione infrastrutturale e materiale dei comuni calabresi, e se la prende con i giovani calabresi spiegando che dovrebbero pensare ad altro, alla ndrangheta.
Un libro come “Al di là della Mala”, smonta questo frame. Porta alla luce le tantissime realtà calabresi (come “La rete per la difesa del territorio Franco Nisticò”, i cui attivisti tengono uno striscione che si vede nella foto dell’occupazione dei binari a Paola) che si occupano da tempo degli sfregi perpetuati nel loro territorio, attraverso attività di ogni tipo, documentazione, informazione, occupazioni. Sono tanti i nomi sia delle organizzazioni che dei singoli attivisti a comparire, sembra un libro che più che a quattro, è stato scritto a decine e decine di mani. E queste stesse realtà (autonome ed auto - organizzate, ma c’è anche la voce di amministratori istituzionali, rappresentanti politici sindacalisti liberi e legati alla propria terra) abbarbicate al terreno delle lotte locali, non dimenticano di essere inserite in sistemi che vanno al di sopra del loro orticello, rispondendo agli appelli nazionali dei No Tav, partecipando a manifestazioni come quella del 15 ottobre a Roma, e lanciando campagne di mobilitazione come “Mo Basta”, portata avanti dalla Rdt Franco Nisticò nel 2011 contro la MALA gestione del ciclo dei rifiuti nella regione; lo slogan è una traduzione autoctona del grido di battaglia delle comunità insorgenti del Chiapas guidate dall’EZLN.
Il libro ha il pregio di far conoscere uomini e donne, oltre che piccoli centri dell’entroterra calabrese, in grado di amare i loro territori e difenderli, attraverso quell’ingranaggio di contro informazione che ha fatto si che in tutta Italia si conoscessero per la loro vitalità ed i loro spirito comunitario, i piccoli centri della Val di Susa come il piccolo paese del sud della Sicilia, Niscemi. “Qua e la persistono sacche di resistenza umana – si legge – “comitati spontanei, donne e uomini coraggiosi, che cercano di difendere il territorio. Ma nell’atavica difficoltà di costruire reti, spesso restano isolati”.
“Al di la della mala” è un libro che parla per la maggior parte di questioni e battaglie svolte sul piano della difesa dell’ambiente, ma non solo. Raccoglie attentamente documenti, ricostruisce atti processuali con minuzia, riporta interviste ad uomini chiave delle questioni affrontate. La divisione dei capitoli con i richiami agli elementi naturali e dell’esistenza umana, Acqua, Aria, Terra, Sangue e Merda, conferiscono una carica di forte impatto corporale ed evocativo delle bellezze paesaggistiche che caratterizzano il territorio calabrese, in contrasto con gli scempi e le deturpazioni su cui il libro fa luce.
Vale la pena quindi fare una breve rassegna dei capitoli, citando solo alcuni brevissimi spunti. L’Acqua Il 24 ottobre del2009, un fiume, o meglio una “fiumara” umana di 30 mila persone sciamava lungo i viali di Amantea, e batteva forte i pugni contro lo stato e la malavita, per chiedere verità sulle navi radioattive infossate nei fondali marini a largo della costa calabrese e la bonifica di una vallata, quella dell’Oliva, inquinata da materiali tossici e nocivi: sotto accusa il sistema industriale del nord Europa e del nord Italia, che si è avvalso della manovalanza criminale per seppellirli in Calabria; tra Catanzaro e Vibo la diga dell’Alaco ha un colore marrone, contiene manganese e ferro, ha una forte contaminazione biologica dovuta al pascolo degli animali. Tanti i soldi spesi, ma la società mista calabrese, SoRiCal, il cui socio privato è la multinazionale francese Veolia, dovrebbe dare risposte sul perché le acque della diga sono torbide e contaminate; la società elettrica A2A, con sede a Brescia, proprietaria del termovalorizzatore di Brescia e dell’inceneritore di Acerra, vorrebbe occuparsi dello svuotamento dei laghi silani, facendo rizzare le orecchie a qualcuno; “La diga sul fiume Melito, la più grande opera pubblica progettata e mai realizzata in Calabria, il più grosso cantiere nel mezzogiorno, la madre delle incompiute, una gallina dalle uova d’oro, un pozzo di prebende senza fine, una cassaforte delle clientele”;
L’Aria Nel 2010 l’Enel fa pendere sulla comunità rossanese una spada di damocle annunciando l’apertura di una centrale al carbone, che porterebbe solo guai alle comunità locali. Comitati sorti dal basso ed amministratori solerti, resistono e rispediscono al mittente il progetto; L’elettrodotto Laino – Rizziconi, della multinazionale Terna, è montato a poca distanza dai tetti delle case degli abitanti di Montalto Uffugo e dintorni; le pale rotanti in Calabria: la politica le piazza dappertutto a macchia di leopardo, in attesa che “qualcuno ci spieghi quanto, e che cosa, ci guadagnino i calabresi”; a Sibari una grosse koalition della politica regionale progetta un aeroporto, la vicenda puzza di “propaganda e business”;
La Terra la storia della fabbrica tessile Marlane a Praia a Mare, del gruppo Marzotto, dove sul posto di lavoro muoiono oltre 50 operai per le mancate misure di sicurezza e le protezioni di cui la dirigenza avrebbe dovuto occuparsi; Crotone, splendente polis della Magna Grecia ed oggi suo malgrado città simbolo del degrado ambientale in Calabria, con una discarica dismessa dell’Eni che gronda liquidi pericolosi dappertutto, con il Cic, scorie tossiche provenienti dalla lavorazione, della fabbrica ex Pertusola con cui sono stati costruiti edifici pubblici come scuole, la questura, interi quartieri Aterp; in Calabria scoppia il business e la diffusione delle centrali a biomasse, ma i cittadini dei comuni di Panettieri e del Pollino non stanno al gioco; il caso di Cavallerizzo di Cerzeto, colpito da una frana disastrosa e spettacolare, a seguito della quale la premiata ditta Berlusconi - Bertolaso impone la costruzione di una new - town senz’anima e priva i cittadini del loro borgo antico secolare; tra Rende e Cosenza si parla di un progetto di una metro – leggera ma dall’impatto pesantissimo;
Il Sangue, quello che scivola via in seguito ai colpi d’accetta della macelleria sociale che il neo – liberismo produce in Calabria:i migranti che vivono nelle baracche a Corigliano sfruttati e pagati poco nelle imprese di agricoltura; l’emergenza Nord – Africa, con i profughi imprigionati nei residence e liberi di non andare da nessuna parte, mentre la macchina del business macina soldi anche su di loro; la lotta dei lavoratori della Phonemedia di Catanzaro, in cui imprenditori del Novarese aprono aziende che succhiano soldi pubblici e quando non c’è più niente da spremere lasciano i lavoratori per strada;
la Merda, come l’immondizia, fonte di guadagno per aziende miste e private, che hanno l’unica lungimiranza di proporre l’allargamento di discariche e l’apertura di inceneritori; per ultimo, un finale pirotecnico: intervista a John Trumper esponente della linguistica moderna, autore del recente saggio che uscirà in Italia “Slang and Jargons”, che nell’intervista riportata da una spiegazione etimologica del termine “Ndrangheta”, che deriva dai termini greci “andros” ed “agatos”, e che, in contesti storici antichi della Calabria daranno senso al nome “andragatiari”, cioè coloro i quali sanno “esercitare un ruolo di borghese o piccolo nobile” per colmare i vuoti di potere di governi strutturalmente deboli. Un potere del non governo.

http://www.globalproject.info/it/produzioni/al-di-la-della-mala-quando-la-ndrangheta-centra-poco-o-niente/16211