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Gli “umiliati e offesi” raccontati da Italo Scalese

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Gli “umiliati e offesi” raccontati da Italo Scalese


8 febbraio 2014 - tratto da www.calabriaonweb.it - di Chiara Fera - 1943: su Petronà cadono le bombe. Gli “umiliati e offesi” raccontati da Italo Scalese.

“Ah, la guerra, che triste creatura. Si nutre di sangue. Macina vite come olive al frantoio. Lentamente, sia verdi che nere, sia sane che marce. E poi l’olio che spreme, rosso bruno diluito col pianto, lo disperde nel mare come in un crudele gioco infantile. E va avanti a schiacciare e a disperdere il succo. Non si sazia di morte, cerca ancora la vita, per poterla spezzare…”


Italo Scalese scrive storie e poesie per bambini. Ha ricevuto un premio speciale della giuria nel concorso Parole nel Vento per il romanzo storico “Regina, gallina volantina”
È il 9 settembre 1943. L’Italia, dopo la caduta del governo Mussolini e l’armistizio stipulato con gli Alleati il 3 settembre (reso noto solo 5 giorni dopo in una trasmissione radiofonica) dal presidente del Consiglio dei ministri Pietro Badoglio, è lacerata da una feroce guerra civile. La neonata Repubblica sociale italiana di Mussolini sostenuta dalle truppe naziste al Centro-Nord; il governo Badoglio e il re, sostenuti dalle forze angloamericane, al Sud. Non mancano, nell’Italia centro-settentrionale, gruppi armati composti da studenti e operai che, dopo aver abbandonato i loro reparti militari, creano una compatta resistenza al nazi-fascismo; né un Comitato di liberazione nazionale, formatosi dopo il 25 luglio nei territori del Regno del Sud, e composto dagli esponenti dei partiti che si sono costituiti (o ricostituiti) dopo la caduta del fascismo. Il cambio di rotta, politico e militare, si fa sentire anche a Petronà, nella Sila piccola che per Alfonso Frangipane è “uno dei più importanti paesaggi d’Italia”, dove il 9 settembre una squadriglia di aerei americani insegue i tedeschi in ritirata. L’attacco è feroce: bombe, polvere e vittime innocenti. Come un cantastorie di epoche remote, Italo Scalese, in “Patate e Pipazzi” (Coessenza), dà voce e memoria a uno dei tanti episodi drammatici di una guerra fratricida durata venti interminabili mesi. Lo fa narrando la fuga in campagna, la paura, l’amara consolazione di raccontare un po’ di sé per pensare ad altro e restare vivi. Come il Calvino de “Il sentiero dei nidi di ragno” (Einaudi), Scalese sceglie l’ingenuità dei bambini per rievocare l’orrore della guerra civile italiana. Sono bambini che osservano rapiti quei grossi uccelli di metallo così vicini da far vibrare i vetri; che tremano dalla cuntentizza di fronte all’incredibile possibilità di avere un paio di scarpe: “Vedete ‘zu ‘Ntò, questo figlio mio ogni tanto si incanta e pensa alle ciaule”; che fissano le donne con occhi smarriti e colmi di dolore in attesa di una rumanzella che allieti le loro serate tristi e li lasci liberi, per un momento, di immaginare di vivere in una favola, estranei alla ripugnante tragedia dei grandi: “C’era na vota nu Re, avia li cauzi come me, ed avia ‘lli buttuni ‘e lignu, stative citu c amò va ‘ncignu…” Il senso profondo di questo racconto è la cecità del dolore, l’inevitabile malvagità, la triste e inesorabile evidenza che le bombe ignorano la bontà delle persone e l’innocenza di piccole creature. Ne è un esempio Petronà, un paese che partecipa impotente alla sua distruzione: “La morte è cecata, duve ‘mpacchia, ‘mpacchia, magari venisse solo per punire i malamente, non ci sarebbe stata la guerra e non ci sarebbero così tante persone maligne in giro.” L’innocenza dei bambini che vivono la guerra senza comprenderne la furia distruttiva, si alterna, nel racconto di Scalese, ai lamenti antichi ed eterni degli adulti: è la storia che si ripete, l’ineluttabile destino, il già rassegnato futuro figlio delle ingiustizie del passato, di cui i popoli del Sud si fanno vittime inerti e arrendevoli. E così, ad una prosa scandita da versi si alternano dialoghi permeati di ingenua sottomissione: “Un contadino, un pastore, un boscaiolo, non deve sapere niente, deve sentirsi sempre inferiore a qualcuno altrimenti come fanno a comandare, questi qua, se non hanno sotto una massa di pecoroni ignoranti che abbassano la testa e lavorano e si stanno zitti e si tolgono il cappello anche quanto passa il cane del padrone. L’ignoranza è una brutta cosa. Ci hanno abituato a pensare che il mondo è fatto così, è sempre stato così e non si può cambiare, ci hanno abituato a ringraziare qualcuno anche per l’aria che respiriamo.” “(…)e tutto per l’illusione di un futuro migliore. Ma che futuro e futuro. Eccolo, oggi, il nostro futuro. Come dicevano gli antichi, a jurnata se vida da’ matinata… E la nostra mattinata è sempre stata invernale, amara e nuvolosa. Anche se spunta il sole, non trapàna, è pallido e malato, non porta frutti e tramonta presto.” I personaggi di Scalese, apparentemente figure di un quadro arcaico immune dal corso della storia, ma in realtà sfruttati e bombardati senza dignità, mandano avanti le loro esistenze senza credere neppure nella conforto della poesia: “Siete un illuso se pensate che con le parole si possa cambiare il mondo… per quello che ho visto e mi hanno raccontato i nonni e i catananni, per la povera gente non è mai cambiato niente. Mio nonno ha conosciuto Garibaldi quando sembrava che avrebbe cambiato tutto.


Italo Scalese è autore del “Tiraturu”: un brano inciso dal Sabatum Quartet.
E invece quei poveracci che lo avevano seguito come un dio dovettero tornarsene a casa ccu lu culu ruttu e li cirasi. Non cambierà mai niente per noi… Qualcuno più orgoglioso diventò brigante, ma anche quelli, avete visto che fine hanno fatto?” Le mitraglie, le colonne di fumo, il terrore e le urla, gli aerei su Petronà che bruciano il cielo; poi l’affievolirsi della sirena, lo smarrimento dei superstiti, e, a guerra finita, i sapori della terra a saziare la fame di pace: “Avvicinandomi a casa comincio a chiamare, mamma, mamma, ma nessuno risponde e il mio urlo si perde fra le pietre dei muri. Salgo a due a due i trentotto gradini che mi portano dentro. Tiro il filo, apro la porta, vedo bianco e mi prende alla gola un odore pungente di patate e pipazzi bruciati.”



Italo Scalese, “Patate e Pipazzi”(9.9.1943)

edito da Coessenza

pagg 80, 8 euro.

Italo Scalese è un maestro elementare. Dopo 25 anni da emigrante in Lombardia, è tornato a vivere in Calabria, a Rende. Scrive storie e poesie per bambini. È inoltre autore del “Tiraturu”, un brano inciso dal Sabatum Quartet. Ha ricevuto un premio speciale della giuria nel concorso Parole nel Vento per il romanzo storico “Regina, gallina volantina”. È stato premiato per la realizzazione di alcuni cortometraggi con i suoi alunni, on-line sul canale “medinitalo” di Youtube.

La poesia recitata nel testo da Zio Nicola è divenuta, grazie ai Sabatum Quartet, una canzone popolare:

C’è n’adduru e portugalli,
spizzu n’abbattaru e ‘ncialu…
me vena a mente a fhocara,
a fhocara ‘e Natale…
Chi friddu… pullulia!
Arriva n’autru zuccu
Uanima chi spissille!
Se sperdano intr’o cialu, niuru,
tutti simu parianti,
fhigli ‘do Bombiniallu.
Gridanu i quatrarialli,
guardanu all’ariu
e, ‘cculla vucca aperta…
mazzicanu pullule.
I viacchi ‘cullu mantu fhanu a rota,
‘e fimmine se chiudano intr’o sciallu
E trasanu alla Gghiasa ppè la Missa.
Chiamanu i fhigliarialli ‘do vignanu
Ma chili vuanu stare ammianz’a via
A sentare ‘a zampogna ca mo vena…
Se senta alla ‘ntresata ‘na canzona
Arda lla fhocara e tutto, ngiru, ngiru
Squaglia la nive c’ha fattu tuttu jancu…
Ancunu parra già ‘de scirubetta
Sonanu na campana, a Missa è ditta.
A fhocara quadìa llu Bombiniallu,
i gianti su cuntianti ‘da nivera…
tantu domane è festa
domane è già Natale!

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